L’Uomo Universale, il genio che dipinse, scolpì, costruì, progettò, sconvolse e vide oltre. Leonardo da Vinci a Milano sostò eccome (1482-1499), in una finestra di vita che gli bastò per realizzare giusto una manciata di opere destinate a segnare la cultura dell’umanità. Ci era arrivato in realtà come messo, inviato da Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze, per omaggiare Ludovico il Moro con il suono di una lira progettata da Leonardo stesso (perché sì, era anche un più che discreto musicista). Rimase in quella che allora era una delle più popolose città d’Europa per dodici anni: l’assurdo capolavoro del Cenacolo rimane senza dubbio la traccia più celebre del suo passaggio qui, ma da Vinci ha disseminato per Milano svariati tasselli che contribuiscono a comporre il rompicapo della sua vita.
Dalla strada si vede poco, perché un bel parco verde la tiene nascosta con fogliame e ombre. Rimane ancora, per quanto un po’ ingrigita, la torretta che le faceva compagnia ai bei tempi: Cascina Bolla è stata osteria e locanda, nel quindicesimo e sedicesimo secolo, e qui pare abbia dimorato Leonardo durante la sua permanenza a Milano. Pare, perché di riscontri storici veri e propri non ce ne sono: la teoria davinciana fu presentata all’inizio degli anni ’80 da un ingegnere e un architetto, che tanto per non esagerare parlarono anche di un fantomatico cunicolo con il quale Leonardo raggiungeva direttamente il Castello Sforzesco, dove era richiesto a corte.
Fu semidistrutta da un rogo poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, dopo essere stata la casa dell’Opera Nazionale Balilla durante il ventennio fascista; poi acquistata da facoltosi industriali, che la rimisero a nuovo e la abbellirono curandone interni e giardino. Si intravede ancora una targa che racconta del soggiorno di Leonardo. E per chi davvero ci crede, occhi aperti: nel 2018 era stata messa di nuovo in vendita.
Dicevamo: pittore, scultore, musicista, scienziato, architetto. Alfiere di tutti questi talenti, Leonardo da Vinci a Milano, alla corte degli Sforza, arrivò in realtà per tutt’altra mansione: si candidò infatti come ingegnere militare, descrivendo le sue abilità specifiche in nove delle dieci pagine su cui vergò la sua lettera di presentazione. Nella decima confessò che un po’ sì, era bravo anche in mille altre cose, ma niente di serio. Da Vinci compose un vero e proprio curriculum, oggi conservato nella Biblioteca Ambrosiana: il documento è parte del celebre Codice Atlantico (così chiamato per il formato di carta usato, quello degli atlanti geografici; l’oceano non c’entra nulla), la più grande raccolta esistente di scritti autentici e autografi del Maestro. Millecentodiciannove fogli, la maggior parte dei quali fronte retro, nei quali sono descritte teorie e progetti del Genio (incluse le chiuse del Naviglio di cui sopra) che hanno attraversato i secoli e le peripezie.
Fu peraltro assemblato da altri: Leonardo affidò le proprie memorie e tutto il proprio archivio al prediletto Giovan Francesco Melzi, allievo fedele, i cui eredi, come spesso accade, peccarono e sparpagliarono il patrimonio di idee e visioni senza curarsene. Uno scultore, Pompeo Leoni, ne entrò in possesso verso la fine del ‘500: assemblò il Codice mentre era in Spagna come curatore di un museo, separando gli scritti tecnici da quelli artistici (che compongono invece la Collezione Windsor). Compravendite e lasciti portarono nel 1637 il Gran Libro alla Biblioteca Ambrosiana, che fu però razziata da quel simpaticone di Napoleone nel 1796: il Codice rimase in Francia per vent’anni.
Agli Austriaci, che nel 1815 regnavano sulla Lombardia, girarono un po’ le scatole e ne avevano ben donde: il funzionario inviato a recuperare i patrimoni trafugati rischiò il dramma, perché convinto che la famigerata scrittura al contrario di Leonardo fosse in realtà cinese, e arrivò a un passo dal tralasciarla. Il Papa però ci vide lunghissimo, e si premurò di mandare insieme all’algido crucco anche un suo emissario: nientemeno che Antonio Canova, scultore immortale, che riconobbe la furbizia di da Vinci e contribuì a riportare i suoi scritti a Milano. Visitate la Biblioteca e vivete il brivido: quando vi ricapita di osservare il vero Codice da Vinci?
Com’è noto, fino a metà del ‘900 Milano era di fatto una ragnatela di corsi d’acqua: i Navigli raggiungevano il centro da Sud Ovest e da Nord Est, principalmente, arrivando a confluire in quella che era comunemente nota come Cerchia, il cuore pulsante della città. Leonardo era fortemente attratto da tutto quello che concerneva maree e flussi (Maestro d’Acqua era uno dei numerosi appellativi con cui era conosciuto): quando tornerà in Toscana provvederà, tra le altre cose, a deviare il corso dell’Arno verso Pisa, per agevolare l’arrivo (e il potere) della fu Repubblica Marinara.
A Milano il Genio si interessò appunto dei Navigli: fu lui a fare da consulente a Giuliano Guasconi nel 1496, per ultimare il lavoro di collegamento tra il Naviglio Martesana e la Cerchia. In particolare, da Vinci progettò un sistema di chiuse che permetteva di regolare la pressione dei corsi d’acqua, in modo da adattarsi ai dislivelli e non farli straripare, e quello che resta di uno di questi portelloni d’altri tempi è ancora visibile in zona Moscova. I disegni e le proiezioni che portarono alla realizzazione sono ancora custoditi a Milano. Dove? Leggete più in basso.
Esattamente di fronte, il maestoso porticato d’ingresso della mitica Basilica di Sant’Ambrogio. Qui invece, tutto più intimo, raccolto, silenzioso: pare fu lo stesso Ambrogio a volere la costruzione di quella che oggi è conosciuta come San Michele sul Dosso, perché edificata, appunto, su una sorta di collinetta dei tempi.
Leonardo non passò qui direttamente, ma il suo genio è lì tutto da vedere. Oltre il curatissimo chiostro d’ingresso (che appartiene a una scuola di proprietà delle Suore Orsoline), si accede alla chiesa vera e propria: all’interno un pregiato coro di legno dipinto e nell’ansa di destra un sontuoso quadro medioevale, che raffigura la Chiesa data in affidamento alla Madonna. Esattamente al di sotto, il pezzo forte.
Una copia esatta della Vergine delle Rocce di Leonardo, il cui originale è oggi custodito al Louvre di Parigi. È di proprietà delle Suore da almeno duecento anni (l’inventario di inizio ‘800 ne segna l’esistenza, regalato dalla ricca nobile ), e da dieci è esposto qui. Non si ha certezza su chi possa averlo realizzato, ma le fonti più varie parlano del solito Francesco Melzi, apprendista diretto del Maestro. D’altronde, per dipingerlo così simile, può averlo appreso solo da lui.
Nel 1495, Leonardo fu chiamato da Ludovico Sforza per avviare i lavori del Cenacolo. Tra le varie ricompense che ottenne in cambio, vi fu anche una vigna, perfettamente produttiva, che dopo vicissitudini varie (fu confiscata dopo la sconfitta del Moro e poi restituita a Leonardo da Carlo d’Amboise), alla scomparsa del Maestro passò, divisa in parti uguali, ai suoi allievi Batista de Vilanis e Gian Giacomo Caprotti, conosciuto come Salaí.
La vigna rimase annessa alla casa di cui faceva pertinenza, la strepitosa Casa Atellani dove Leonardo spesso soggiornò, ma finì pressoché dimenticata fino alla riscoperta da parte di Luca Beltrami, nel 1920. La residenza passò di mano in mano e tutt’oggi è abitata da privati. Durante i bombardamenti del ’43 fu completamente sepolta dalle macerie, ma in occasione di EXPO è stata rivitalizzata.
Nel 2018 è stata inoltre rilasciata la prima bottiglia, peraltro della stessa esatta varietà prodotto da Leonardo stesso (Malvasia). È esposta e visitabile previo acquisto di biglietto qui, come parte del meraviglioso giro a Casa Atellani.
Ludovico il Moro, che in fondo era un tranquillone, si svegliò una mattina del 1482 con l’intenzione di commissionare una statua equestre; LA statua equestre, in realtà. La più grande del mondo, per onorare suo padre Francesco Sforza. Serviva uno bravo, e avere Leonardo da Vinci a Milano alle proprie dipendenze non sembrò così male. Il Genio studiò a lungo i cavalli dal vivo, arrivando a dormire nelle loro stalle e mangiare della biada insieme a loro, per carpire dettagli anatomici e funzionali di ciascuna razza. Si adoperò fino a realizzare un modello di creta di circa sette metri d’altezza che riprendeva un cavallo al passo: l’idea originale, che vedeva un cavallo impennarsi, avrebbe creato troppi problemi di peso ed equilibrio.
Magno gaudio, che si proceda con la colata di bronzo orsù! Il bronzo però non c’era più (ne sarebbero state necessarie cento tonnellate): serviva a realizzare cannoni e munizioni, perché i francesi di Luigi XII avrebbero invaso Milano di lì a breve. Leonardo abbandonò allora il progetto e Milano, tornandovi nel 1506: il caso volle che gli venisse commissionata un’altra statua equestre, stavolta per la tomba del politico Gian Giacomo Trivulzio, ma anche di quella non si fece nulla.
Cavallo e opera finirono nel dimenticatoio, fino a giorni nostri: un collezionista d’arte (ed ex pilota di linea) statunitense, Charles Dent, nel 1977 decide di rispolverare gli appunti di Leonardo dopo aver letto della loro esistenza su un numero di National Geographic: organizza una raccolta fondi che dura quindici anni, riuscendo a racimolare due milioni e mezzo, coinvolgendo esperti davinciani e teorici per ricostruire i dettagli che non si evincevano dai bozzetti originali. Ma anche stavolta, lo stallo: Dent passa a miglior vita nel 1994 e il suo sogno va svanendo, fino all’arrivo di Frederik Meijer, signore dei supermercati del Michigan, che riprende le fila del progetto e ne affida la realizzazione alla scultrice americana Nina Akamu, purché realizzi una seconda statua da custodire negli Stai Uniti.
Milano ottiene il suo mastodontico cavallo nel 1999, a quasi cinquecento anni di distanza dall’avvio dei lavori di Leonardo (la seconda statua è oggi nel Parco delle Sculture di Grand Rapids, conosciuta come The Grand Horse): da Vinci e Dent sarebbero stati orgogliosi, se soltanto l’amministrazione non avesse deciso di piazzare l’opera record lontanissima da qualsiasi attrazione cittadina. È visitabile all’Ippodromo di San Siro, del tutto decentrata rispetto al Duomo, al Castello, alla Stazione, dove di certo meriterebbe di essere esposta. Speriamo non si debbano aspettare altri cinquecento anni.
Badate bene, non si tratta soltanto di un mero omaggio: il Museo della Scienza e della Tecnologia, ideato da Guido Ucelli e inaugurato nel 1953, è dedicato al Genio, ma si spinge ben oltre. Ospita infatti “la più grande esposizione permanente al mondo dedicata a Leonardo ingegnere e umanista”: 50.000 mq e 170 tra modelli storici, opere d’arte, volumi antichi e installazioni, un percorso che abbraccia il Maestro nella sua sterminata interezza.
Dalla formazione all’affermazione come Uomo Universale, il viaggio nell’esposizione si srotola tra progetti militari, costruzioni civili e impianti urbani: e poi la passione di Leonardo per l’acqua, l’ossessione per il volo, e ovviamente la pittura, l’intero arsenale creativo di da Vinci e la sua influenza sulla storia del mondo, sia in ambito scientifico che umanistico.
Se davvero non dovesse bastarvi, il Museo è luogo di esibizione per strepitosi approfondimenti sull’ingegneria dei trasporti aerei, ferroviari e navali, insieme a un’esperienza immersiva nel sistema della fisica delle particelle.
Sarà di certo più ridotta nelle dimensioni, rispetto alle altre metropoli europee cui viene spesso paragonata, eppure Milano non manca davvero di nulla. Per ogni momento della giornata, sia essa stressante o serena, piena o pigra, attesa o maledetta, ci sarà un luogo della città adatto a essere visitato.
Alcuni di questi vanno bene sempre. Tra palazzi storici e angoli di bellezza nascosta, si scorgono infatti dei giardini che sembrano bolle di tranquillità dove potersi rifugiare se tutt’intorno è troppo veloce, ritagliare uno spazio se invece si ricerca solo silenzio. E molti di questi scorci di quiete portano con sé storie inaspettate.
Per gioco, per amore o per interesse personale, ciascuno di noi ha probabilmente provato, almeno una volta nella vita, a coltivare una collezione. La sensazione di portare avanti e custodire una raccolta, che sia monotematica o varia, alimentandola per consegnarla forse ai posteri. E magari sarà durata molto meno di quanto ci saremmo aspettati o avremmo desiderato.
Milano racchiude invece una serie di musei, fondazioni, collezioni private di totale unicità: dalle raccolte di famiglie nobili, agli studi di designer e architetti che hanno tramandato le loro idee e i loro progetti, fino alle pietre miliari della cultura della città o a veri e propri luoghi di riflessione e contemplazione, artistica o introspettiva. Che si tratti di quadri, oggetti o anche solo memorabilia, l’intera città è disseminata di occasioni per conoscere più a fondo animi preziosi. Basta solo trovare la porta giusta.
Passeggiare per le strade di Milano può rivelarsi una straordinaria caccia al tesoro. Fondata dai Romani, del cui Impero d’Occidente fu capitale, divenne poi centro culturale ed economico di un certo rilievo nel periodo Rinascimentale. Con il passare dei secoli, le nuove costruzioni si sono sovrapposte alle antiche, come spesso succede nelle città ricche di storia, senza però per fortuna cancellarle del tutto.
Gli ariosi vialoni, o le strette stradine: ogni arteria di Milano potrebbe riservarvi sorprese di incredibile bellezza, se solo saprete dove andare a cercare. I portoni più anonimi potrebbero essere scrigni di ricchezza impensabili, e chiedere il permesso a un custode potrebbe essere un lasciapassare per un viaggio nel passato. A ridosso di chiese e monasteri, all’interno di abitazioni nobiliari, o semplicemente al centro di condomini privati: i cortili e i chiostri di Milano raccontano di vite trascorse, che ancora oggi fanno sognare.
Lo sfarzo di sale affrescate, l’emozione di cortili e portici ad archi, le storie intrise di leggenda che hanno visto famiglie potenti intrecciarsi con sovrani e popolani. Milano fu centro di estrema importanza nel commercio e nella società fin dal MedioEvo, e regnanti e ricchi non persero tempo a costruirsi palazzi che ne dimostrassero l’importanza.
Scoprite allora un itinerario che vi porterà in giro per gli edifici storici, che in passato furono abitati da stirpi di valorosi, spesso poi caduti in rovina; altri ancora sono ancora di proprietà degli eredi, che con più cognomi e più interessi oggi dedicano i propri spazi privati alla valorizzazione della bellezza e del lavoro degli artisti moderni.
Perdetevi nelle immense sale da ballo, arrampicatevi sugli scaloni d’onore, percorrete i corridoi tappezzati per rivivere le atmosfere di tempi che furono, quando la brama di potere e il desiderio di cultura si fondevano in una sola, affascinante e pericolosa energia. E magari potrete chiedervi come sarebbe stato, se a vivere in quei giorni foste stati voi.
Lacrime, apparizioni, guarigioni: l’appiglio per chi crede e non ha null’altro, il dubbio per chi vuole capire di più, quando da capire c’è forse nulla. Miracoli a Milano si sono visti sin dai tempi della sua fondazione, e nel corso dei secoli le storie si sono moltiplicate.
I protagonisti sono stati dei più disparati: operai zoppi, poveri buoi, parroci con il mal di gola. A volte è un atto di speranza, altre la speranza di un atto. E anche per chi proprio non concepisce la possibilità di avvenimenti superiori, magari è una buona idea far visita in questi luoghi. Non si sa mai che si possa cambiare opinione.
Ogni volta che vi verrà da pensare, come troppo spesso molti fanno, a quanto Milano sia diventata ormai solo business e schiscetta, date un occhio qui. Perché in mezzo ai grattacieli di Gae Aulenti e il delirio dello struscio in Galleria, negli spazi che il logorìo della vita moderna ha lasciato intatti, potreste trovare degli scampoli di paradiso che vi riporteranno a mille chilometri più lontano, oppure angoli, palazzi e strade che niente hanno a che fare con la città.