Una quindicina di ore di volo, con uno scalo in mezzo, prima di atterrare tra i confini che lo avevano attratto, in un modo o nell’altro: “Anche perché di fatto ancora nessuno ci era andato, come volevo andarci io”. Riccardo lo racconta alzando le spalle, con la voce più ruvida del solito, evidente eredità dei festeggiamenti per l’Europeo (durante la finale, Freni e Frizioni ha saggiamente e appositamente sospeso il servizio, pur rimanendo aperto). Arrivò in Perù, paese di mare e montagne, culla per premi Nobel e rivoluzionari nell’anima e nella politica: soprattutto, nazione d’origine del pisco, il distillato divenuto patrimonio nazionale, che aveva ipnotizzato Riccardo fino, appunto, a fargli divampare la wanderlust (al femminile, perché che ci piaccia o meno è una sindrome). C’era da toccare con mano, con gusto e olfatto, per spiegarsi i perché di quella calamita: più di venti bodegas, distillerie, visitate in due settimane furono un tabellino di marcia non proprio da ridere.
Il Perù, come qualsiasi terra che vibra di energia propria, alla fine rimane dentro, e il pisco è uno dei biglietti che si possono staccare ogni giorno per tornare a Macchu Picchu, in uno spicchio della Foresta Amazzonica, a Lima o sulle spiagge coccolate dall’Oceano. Riccardo ne è diventato ambasciatore e oggi è il principale punto di riferimento in Italia (e non solo) per il prodotto, che va in giro a raccontare supportato e supportando l’Ufficio Commerciale del Perù: lo abbiamo ritrovato a una masterclass organizzata appunto da PromPerù, la Commissione Peruviana per la Promozione delle Esportazioni e del Turismo del Perù, mentre portava per mano i presenti tra diapositive e ricordi di un’esperienza poi divenuta pietra miliare della sua vita.
Le otto uve pisqueras, divise tra aromatiche e non aromatiche, che fermentano e danno vita alle varietà Puro, Acholado, Mosto Verde; le regioni specifiche di distillazione (“sono arrivato fino a Tacna, roba che nemmeno i peruviani fanno”), al di fuori delle quali non è permesso distillare pisco; le leggende sulla sua origine, il nome che deriva da uccelli, da un porto, da artigiani; la corsa all’oro di cui fu protagonista in California, la diatriba con il Cile, i processi di produzione rigorosi e veri. E foto, cartine, profumi: basta ascoltarlo un’ora, poi è una lotta durissima contro il desiderio di partire immediatamente. Contro la wanderlust.